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OCCHI NEGLI OCCHI: MISSION EMPATHY

Sono trascorsi mesi dalla prima volta in cui Michela mi ha chiesto di fornire un mio contributo per la Newsletter di Mission Empathy. Mesi importanti per Mission Empathy, che nel frattempo muoveva sempre più velocemente i suoi passi verso la concretizzazione del suo Progetto a favore dei bambini in ospedale, mesi di intenso cambiamento per la mia famiglia, che nel frattempo muoveva i primi passi in una avventura nuova e inaspettata per la permanenza di mio marito all’estero per motivi di lavoro.

Tutto quello che ha comportato fattivamente ed emotivamente la riorganizzazione familiare che è conseguita alla sua partenza, è racchiuso in uno “scrigno” che in questi mesi ho custodito con cura, in qualità di moglie e di mamma e che ogni tanto, con altrettanta delicatezza sento il bisogno di riaprire per ricordare tutta la strada che abbiamo fatto.
E a questo punto del percorso, quando il tempo della consapevolezza è più maturo, desidero fare a Michela e a tutti coloro che credono in Mission Empathy un regalo “di cuore” e “con il cuore”, condividendo alcuni pensieri che dedico a Chiara, mia figlia di 6 anni, e a tutti i bambini chiamati ad affrontare le sfide che la vita pone loro dinanzi, in particolare, lontani dai loro genitori.

«Cara Chiara,
chi l’avrebbe detto che un giorno ci saremmo ritrovate nel lettone a guardarci negli occhi e a commuoverci per il dono bellissimo della vita, dell’essere mamma e dell’essere figlia?

È stata la serata più bella che io ricordi di questi mesi, da quando papà è partito, uno di quei momenti che, come il plenilunio di estate, non sai di aspettare e che ti colgono impreparati ed estasiasti allo stesso tempo. Attimi di pura felicità, gratitudine e piccolezza di fronte al mistero grande della vita e dell’essere genitore.

In quelle parole dolcissime che ci siamo scambiate ho trovato tutta la tua serenità e genuinità e proprio in un momento in cui mi confrontavo con i miei dubbi sul “fare abbastanza per te” e sul come ti stessi accompagnando in questo periodo particolare per tutti noi, sei arrivata tu, puntuale come solo i bambini sanno fare, agli appuntamenti del cuore. Ci siamo abbracciate e, occhi negli occhi, ci siamo scambiate il valore dell’esserci, che sa andare anche oltre la presenza fisica, ma è piuttosto pre – essenza emotiva, vibrazione che dalle origini rende un genitore “un porto sicuro” per un figlio, sempre e nonostante tutto.

Sono grata, a te figlia mia, prima di tutto, perché mi hai ricordato, così piccola, le risorse incredibili che abbiamo nelle difficoltà e la possibilità (con cui nasciamo attrezzati), di adattarci ad ogni e qualsiasi situazione.

Di cosa e di chi ha bisogno un bambino per affrontare un momento di novità e cambiamento? Se è vero, come diceva Papa Francesco, che i bambini sono il termometro dello stato di salute di una famiglia, riconosco, in particolare, quanto sia stato importante in tutti questi mesi accogliere le emozioni che hanno abitato e attraversato la nostra famiglia (dalla tristezza alla gioia), dandoci il permesso di prepararci alle novità che avremmo affrontato, parlare con libertà delle nostre paure senza timore di esserne sopraffatti, rimanendo saldi per affrontare passo dopo passo la nostra nuova quotidianità.

E tu per prima mi hai insegnato, senza saperlo, che ci si può adattare a tutto, se si rimane uniti perché in ogni momento di difficoltà ci sono sempre nuove opportunità che ci aspettano…

Abbiamo scelto di coinvolgere in questa nostra avventura anche altre figure importanti per la tua crescita: penso ai nonni e a tutti gli amici che hanno impreziosito la nostra famiglia, alle maestre di scuola, ai tuoi amichetti e ai loro genitori che ci hanno supportato, settimana dopo settimana, sperimentando così la bellezza di una rete sociale che potesse proteggerci e non farci sentire sole. Non so cosa ricorderai di questo anno, Chiara, quando sarai grande: abbiamo condiviso in modo speciale sia momenti belli sia periodi critici; spero solo che tu abbia trovato nei miei occhi, a volte anche deboli e stanchi, uno specchio per ri-conoscere te stessa».

Da quella sera, non ho potuto non pensare a tutti i bambini chiamati a separarsi dai genitori per i motivi più vari: dalle brevi e comuni separazioni che coinvolgono le famiglie per la quotidiana routine casa-scuola-lavoro, agli allontanamenti forzati di cui i bambini purtroppo possono essere vittime, ad esempio per le tristi conseguenze di una separazione tra i genitori o a quelle spietate generate da una guerra, fino alle separazioni a volte inaspettate ma necessarie, come quelle durante un ricovero in ospedale.

Brevi o lunghi che siano, questi periodi di distacco e lontananza, richiedono sempre un riadattamento e la messa in campo di risorse fisiche, psicologiche, relazionali, necessarie… per la sopravvivenza. Sappiamo bene, infatti, quanto le esperienze precoci di separazione dalle figure di riferimento incidano sul benessere fisico ed emotivo dei bambini (Spitz, 2010). E conosciamo anche l’importanza di poter contare su “basi sicure” per imparare ad affrontare l’esperienza del dolore in modo sano, quale momento di crescita per l’individuo (Bowlby 1999).

Diversi studi, infatti, hanno dimostrato che la resilienza si sviluppa anche a partire da un attaccamento sicuro e che le esperienze nella prima infanzia sono molto importanti per corroborare quella che sarà poi la capacità adulta di affrontare gli impegnativi compiti della vita (Di Corcia et al., 2011).

In un momento di forte destabilizzazione, derivante anche dalle notizie di cronaca che ci lasciano impotenti di fronte a bambini che soffrono a causa di adulti poco respons-abili, poco abili cioè nel rispondere alle richieste che l’età più delicata della vita pone loro dinanzi, mi piacerebbe che tutti noi ci dichiarassimo testimoni della necessità urgente di arricchire il mondo con relazioni empatiche perché quello che seminiamo oggi, con i nostri bambini, rappresenterà il frutto che assaporeremo domani.

Se noi adulti avremo generato solo rabbia, ostilità e frustrazione in quale mondo vivranno i nostri figli? Se invece, saremo capaci di farci guardare negli occhi perché i bambini possano specchiarsi e ritrovarsi nei nostri occhi, avremo insegnato loro l’autenticità, il coraggio dell’esserci e non tirarsi indietro nei momenti di crisi ma attraversarli come la via privilegiata per dare compimento a se stessi (Rizzolatti, 2018).

Per tutto questo credo che Mission Empathy abbia certamente scelto un ruolo delicato, mettendosi al servizio dei bambini e delle loro famiglie, perché quando un bambino si ammala, “si ammala anche la sua famiglia”.

Offrire una rete solida di operatori capaci di accompagnare il periodo dell’ospedalizzazione, promuovendo la salute a tutto tondo attraverso progetti e iniziative volti a stimolare benessere e creare esperienze emotivamente significative è solo un aspetto.

Tutto il resto lo fa quell’atteggiamento che è lo stile tipico di Mission Empathy capace di contagiare chiunque si occupi dei bambini affinché prevalga la fiducia nelle relazioni umane e nel potere che le emozioni positive hanno sulla possibilità di guarigione e crescita oltre la malattia perché, è vero… “nessuno si salva da solo”.

 

Autore:
Claudia Colaninno (Psicologa)
30/07/2022

 

Bowlby J. (1999), Attaccamento e perdita. L’attaccamento alla madre (Vol. 1), Bollati Boringhieri,
Di Corcia J.A., Tronick E. (2011), Quotidian resilience: exploring mechanisms that drive resilience from a perspective of everyday stress and coping, Neurosci Biobehav Rev., 35 (7): 1593-602.
Rizzolatti G., Gnoli A. (2018), In te mi specchio. Per una scienza dell’empatia, Rizzoli, Milano.
Spitz R. (2010), Il primo anno di vita del bambino, Giunti Psychometrics, Firenze.